Sono passati già cinque mesi da quando Overland 12 ha messo piede in terra africana; nel tracciare il profilo sociale e umano dei paesi attraversati è stato inevitabile soffermarsi, sempre più spesso, sui gravi problemi di questo continente. È un’aspetto poco piacevole di quest’avventura, ma dovuto e necessario; c’è già abbastanza indifferenza al mondo per le tragedie del continente nero, e non sarà Overland a girare la testa dall’altra parte. Così, affrontati guerra civile e dittatura, povertà e AIDS, risorse e desertificazione, il Burundi e il Ruanda offrono un sobrio spunto per per esaminare l’ennesima cicatrice sulla dura pelle africana: il genocidio.

È piuttosto difficile distinguere un Tutsi da un Hutu: queste etnie hanno patrimoni genetici quasi identici, e la distinzione fra esse si fonda su basi più sociali che razziali. Una distinzione talmente labile che il Belgio – antico potere coloniale – dovette rinforzarla con un criterio “agricolo”: chi possedeva almeno dieci capi di bestiame era un Tutsi; chi ne possedeva meno era un Hutu. Verrebbe quasi da ridere, se non fosse per il milione e mezzo di morti che questa discriminazione ha causato in tanto in Ruanda come in Burundi.

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Hutu e Tutsi hanno convissuto relativamente in pace per secoli; fu l’amministrazione coloniale ad alimentare l’odio interetnico, secondo l’antico principio del divide et impera. Burundi e Ruanda, fusi in un’unica colonia, si separarono nel 1961 e presero strade politche diverse, ma le loro vicende proseguirono su binari paralleli: con la fine del governo coloniale le tensioni fra Hutu e Tutsi in ambedue i paesi degenerarono una spirale di violenza, che in trent’anni provocò la morte di circa 500’000 persone.

La situazione esplose definitivamente nel 1994: la catalisi fu l’abbattimento dell’aereo sul quale viaggiavano i Presidenti di ambedue i paesi. Il Burundi precipitò in una guerra civile che avrebbe provocato altri 300’000 morti in 11 anni, mentre in Rwanda si profilava una delle carneficine più sistematiche nella storia dell’umanità: 800’000 Tutsi vennero massacrati dagli Hutu a colpi di machete; il 20% della popolazione ruandese sterminato in soli 100 giorni di follia collettiva, mentre il mondo intero stava a guardare.

Il Burundi e il Ruanda attraversati da Overland 12 stanno tentando di lasciarsi alle spalle questi terribili eventi, con esiti differenti. Il Burundi ha avviato un piano di spartizione del potere, senza riuscire a pacificare completamente il paese: l’FLN, l’unico gruppo armato ancora attivo, si rifiuta di deporre le armi se prima non ottiene un’amnistia per i crimini commessi. Il Burundi è il penultimo paese al mondo in termini di reddito pro-capite, e l’ultimo in termini di felicità degli abitanti; a detta di vari ministeri degli esteri, si tratta di un paese ancora instabile e pericoloso.

Il Ruanda, invece, è ben avviato sulla strada dello sviluppo. Il governo è retto da Paul Kagame, leader dei guerriglieri Tutsi che posero fine ai massacri del 1994; piuttosto che vendicare il genocidio, Kagame avviò una politica di pacificazione nazionale, tanto che nel Ruanda odierno è illegale distinguere fra Tutsi e Hutu. Il reddito pro-capite è triplicato negli ultimi 15 anni, grazie in particolare al crescente settore del turismo, e il paese è stabile, sicuro, e ben integrato nella comunità internazionale.

La spedizione si lascia alle spalle la frontiera Ruandese e rientra in Congo, per la terza volta in tre mesi: tornate a trovarci per l’approfondimento su questo enorme, complesso e travagliato paese.