Guerra, miseria, violenza: sono queste, purtroppo, le parole che meglio descrivono la Repubblica Democratica del Congo, una delle realtà più difficili sulla rotta di Overland 12. Il Congo è recentemente uscito dal conflitto più sanguinoso degli ultimi sessant’anni di storia mondiale, che ha provocato un numero di morti comparabile all’olocausto nazista, e la cui eredità continua a mietere migliaia di vittime – nel disinteresse generale del cosiddetto “mondo civile”.
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Quella del Congo è una storia tipicamente africana. Nel 1997 le forze di opposizione rovesciarono la dittatura di Mobutu, con l’aiuto fondamentale di Uganda e Rwanda. L’obbiettivo dietro l’intervento di questi due paesi non era tanto la liberazione del Congo, quanto il controllo delle sue ricchissime miniere di rame, cobalto e diamanti: quando nel 1998 il nuovo Presidente Laurent Kabila chiese il ritiro delle truppe ugandesi e rwandesi, queste risposero aprendo il fuoco contro i militari congolesi, con l’appoggio del Burundi. A fianco del Congo intervennero Namibia, Zimbawe, Angola e Chad: una vera e propria guerra centro-africana, che vedeva coinvolti otto paesi e venticinque gruppi armati. Gli accordi di pace, firmati nel 2003, impegnavano tutti i paesi belligeranti a ritirare le proprie truppe; il governo restava nelle mani di Joseph Kabila, figlio del Presidente assassinato nel 2001. Le vittime del conflitto furono cinque milioni.
La guerra, ufficialmente finita da sette anni, continua ad imporre il suo pesantissimo tributo alla nazione. Secondo il Fondo Monetario Internazionale il Congo è il paese più povero della terra; i suoi 68 milioni di abitanti vivono in media con 62 centesimi di euro al giorno. Circa 1500 persone muoiono ogni giorno per malattia, fame, o violenza; la metà sono bambini sotto i cinque anni. Alcune zone del Congo orientale attraversate da Overland 12 non sono ancora completamente pacificate, e subiscono l’incidenza di stupri più alta al mondo.
Ma c’è ancora spazio per scrivere la parola “speranza” nel futuro di questo paese, partendo proprio da una delle zone più colpite dalla guerra. Moise Katumbi Chapwe è il governatore della provincia di Katanga, nella quale risiede il fulcro della produzione mineraria congolese; eletto democraticamente nel 2007, il governatore si sta battendo con tenacia per lo sviluppo sostenibile di questa zona. Un esempio su tutti: il governatore ha imposto la lavorazione dei minerali in loco, piuttosto che la loro esportazione indiscriminata. Così facendo ha creato posti di lavoro e ha messo le basi per lo sviluppo di un’industria locale, permettendo quindi a parte della ricchezza prodotta di beneficiare direttamente la popolazione. La lotta serrata alla corruzione, lo sviluppo delle infrastrutture, la diversificazione dell’economia, e soprattutto l’interesse sincero che il governatore mostra per la sua gente, ne fanno un vero e proprio faro di speranza per questa terra. Il Congo – e forse l’Africa intera – ha bisogno di più uomini come lui; il team di Overland può dirsi veramente onorato di averlo conosciuto.