Sono passate appena 24 ore dall’attentato che ha causato due morti e circa cinquanta feriti nella città di Arusha, in Tanzania, e già sono state arrestate otto persone, quattro delle quali di origine saudita.
Come sempre accade, ormai è un film già visto: i servizi segreti e la polizia sono così zelanti nel ritrovare tutti gli attentatori (come dimenticare le foto e l’intera biografia di ognuno dei 19 dirottatori dell’11 settembre), ma non si riesce ancora a prevenire gli attentati. Inoltre per quanto riguarda l’esplosione nella chiesa cattolica di Arusha non ci sono state rivendicazioni.
Gli attacchi militari in Tanzania, tra l’altro, sono un caso estremamente raro, a differenza di stati come il Kenya o la Somalia. Un gesto simile risale al 1998, quando un attentato, compiuto contemporaneamente in Tanzania e in Kenya, provocò la morte di 200 persone nei due Paesi. La Tanzania ha visto crescere, nell’ultimo anno, il livello di scontro tra cristiani e musulmani e, a causa dell’assenza di un registro ufficiale di affiliazione religiosa, non è chiaro se la maggioranza sia rappresentata da seguaci del Corano o della Bibbia.
Tornando ai fatti di domenica, il commissario di polizia regionale, Magesa Mulongo, ha riferito alla BBC che delle otto persone arrestate, quattro sono di origine tanzaniana (di cui due di fede cristiana) e quattro saudita. L’esplosione si è verificata durante l’inaugurazione di una nuova chiesa cattolica nel quartier di Olasiti, a maggioranza cristiana; tra i presenti c’erano anche l’ambasciatore vaticano in Tanzania e l’arcivescovo di Arusha, che però non ha riportato ferite. Alcuni testimoni oculari hanno parlato di una bomba lanciata da una persona in moto, che sarebbe riuscita ad avvicinarsi alla chiesa nonostante il massiccio dispiegamento di uomini della sicurezza. Mentre gli inquirenti indagano sullo svolgimento dei fatti, sarebbe lecito chiedersi come siano stati effettuati gli arresti se nemmeno sono note le reali vicende.