Una serie di bombe, con l’obiettivo di colpire principalmente aree sciite all’interno e intorno a Bagdad, hanno provocato la morte di almeno 35 persone nella giornata di domenica. Le esplosioni, tra cui erano incluse sette autobomba, sono solo la parte finale di una scia di sangue che ha costretto le autorità a richiedere l’aiuto internazionale, a pochi mesi dalle prime elezioni in quattro anni.
I militari puntano il dito contro i militanti di Al Qaeda, incoraggiati dalla guerra civile nella vicina Siria; tuttavia, analisti e diplomatici ritengono che il governo non abbia fatto abbastanza per cercare di risolvere i problemi che stanno alla base di questa esplosione di violenza.
Gli attacchi più violenti si sono verificati a sud di Bagdad nei quartieri di Al-Amil e Bayaa, dove hanno trovato la morte 10 persone. Il portavoce del ministro dell’interno, Saad Maan, ha invece ridotto il numero delle vittime a tre e lo stesso hanno fatto le fonti governative riferendosi agli attentati in generale.
La violenza in Iraq ha quest’anno raggiunto un livello che non si vedeva dal 2008, quando il Paese stava uscendo da un brutale periodo di conflitti sanguinari. Nonostante gli sforzi del governo votati al miglioramento della sicurezza, simili atti di violenza hanno ucciso oltre 6300 persone dall’inizio dell’anno, secondo le stime di AFP. La presenza di forze dell’ordine sul territorio è praticamente ubiquitaria, ma non è comunque servita a limitare gli attacchi ad ogni tipo di obiettivo: bar, ristoranti, checkpoint militari, veicoli governativi ed impianti sportivi.
Il primo ministro Nuri al-Maliki si è recato a Washington per richiedere, in tempi brevi, l’invio di nuove armi e una maggiore cooperazione internazionale: Francia e Turchia hanno entrambe offerto la propria assistenza.