L’Islanda è una terra quasi estrema, vicina al Polo Nord, non remota come esso, ma al tempo stesso abbastanza lontana dal resto dell’Europa. L’Islanda, per questo motivo, ha preservato gelosamente alcune delle più antiche tradizioni culinarie, che sicuramente non faranno impallidire i cuochi nostrani, ma certamente raccontano storie antiche.
Una delle produzioni tipiche dell’Islanda è una bevanda, il liquore Brennivin, ottenuto da purè di patate fermentato e insaporito con i semi cumino. La traduzione di Brennivin è “vino infuocato”, conosciuto in patria anche come “morte nera”. Il nome sicuramente intriga, in ambedue le versioni: secondo quanto si narra, la seconda definizione del Brennivin deriverebbe dal movimento dell’astinenza dall’alcol, che nel ‘900 ha avuto un ruolo molto importante nella politica proibizionista. Il vino infatti fu bandito dal 1915 al 1921, l’alcool fino al 1935 e la birra, piuttosto sorprendentemente, fino al 1989 (appena fu legalizzata, furono vendute oltre 350 mila bottiglie in un solo giorno, un numero maggiore della stessa popolazione dell’Islanda).
Tornando al nome ‘morte nera’, per spaventare i consumatori, il governo islandese aveva fatto disegnare sulle bottiglie un teschio con le ossa incrociate, su uno sfondo nero, come logo per il liquore; adesso sull’etichetta del Brennivin si trova una mappa dell’Islanda al posto di un teschio.
Il liquore ha un sapore forte e pungente, con forte accento di cumino, tanto che ai meno abituati sembra di bere pane di segale liquido. In effetti, in origine il Brennivin veniva servito insieme a del pesce essiccato, nello specifico l’Hakral, cioè carne di squalo sottoposta a particolare fermentazione e appesa ad essiccare per quattro o cinque mesi. Per questo motivo il Brennivin ha un sapore molto forte, perché serviva a stemperare quello eccessivo dell’Hakral, senza però essere troppo delicato.