La grave congiuntura economica che ha colpito i paesi europei, soprattutto meridionali, si sta allargando a macchia d’olio anche verso terre che sembravano fino a poco tempo fa lontane dalla crisi. Una di esse è Israele, solitamente assimilata al benessere, oltre che al conflitto con i palestinesi.
Ma quello israeliano è un popolo abituato a combattere e, al contrario di quanto accaduto da noi, non ha aspettato di vedersi sommerso di tasse, ma è sceso subito in piazza per protestare contro la nuova politica di austerità che prevede un aumento dell’Iva, dal 17% al 18%, e un accanimento fiscale anche contro chi guadagna di meno (è previsto un aumento delle tasse dell’1,5% per chi guadagna 1.000 euro al mese). Molto clamore ha inoltre suscitato quella che viene chiamata la tassa sull’oltretomba, ovvero una quota annuale che deve essere versata dalle famiglie per ogni loculo posseduto, anche se questo risale a molti anni prima. Insomma, una manovra che andrà a gravare sulle famiglie israeliane per ben 640 euro ogni anno.
Tutto questo, ovviamente, mantenendo inalterati i privilegi di cui godono i quadri dirigenti, come accade anche in Italia. E, mentre la popolazione è indignata e stanca, se non disperata in alcuni casi, e l’opposizione al governo cavalca l’onda del malcontento per accaparrare voti, il neo ministro delle Finanze, Yair Lapid ha definito questa riforma un ‘male necessario’, proponendo anche tagli alla spesa pubblica, dalla difesa alla scuola, dai trasporti alla sanità. Una situazione grave quella in Israele, con lo stesso Lapid che, fattosi paladino degli interessi della classe media nelle elezioni di gennaio, si è rivelato ora il suo peggior nemico.