
Foto di ©Francesco Sangalli – overland.org
La sveglia suona alle 4.40, e dopo meno di un’ora siamo di nuovo in viaggio. Appena partiti troviamo chiuso il ponte che avremmo dovuto attraversare: una barriera di rifiuti e rottami ne ostruisce il passaggio. Fortunatamente per noi però arriva subito un furgoncino bianco che ci guida attraverso le viette del paese. Il sole non è ancora sorto, ma l’aurora mattutina comincia a suggerire i paesaggi circostanti ricoperti in parte da un sottile strato di nebbia, rendendo il tutto veramente magico.
Scendiamo dalle montagne per entrare nella nebbia che poco prima stavamo ammirando. Ci ritroviamo così lungo una strada che sale e scende dalle scogliere in riva al mare, lungo le cui lunghissime spiagge si possono alle volte vedere le tende di nomadi e pescatori. Ad un certo punto una grande distesa di acqua liscia, divisa in campi rettangolari al centro dei quali si notano delle piccole montagnette bianche: stiamo attraversando delle saline. Passate anche queste entriamo nel deserto: un’immensa distesa di rocce e sabbia che continua per chilometri e chilometri senza mai cambiare di una virgola.
È con questo panorama che arriviamo a Laayoune, una delle città più importanti del Sahara Occidentale occupato dal Marocco. Qui spesso negli anni passati si sono scatenate proteste e rivolte, e difatti incontriamo militari, spesso armati, quasi ad ogni incrocio. Nell’uscire dalla città ci fermiamo vicino a quelli che crediamo essere edifici abbandonati per fare una breve pausa pranzo. Ecco però che, proprio da quegli edifici, vediamo uscire un gruppo di ragazzi che ci guardano incuriositi. Il più piccolo, un bambino di massimo 10 anni, riesce a sfuggire dalla stretta dei suoi fratelli maggiori per correrci incontro. Non capiamo la sua lingua, ma i suoi occhi parlano per lui: ha fame, tanta fame, così gli consegniamo un paio di pagnotte e un sacchetto di pomodori. Alla vista del cibo un sorriso che va da orecchio a orecchio compare sul volto del bambino, che torna dai suoi fratelli correndo allegramente. Questo episodio ci ha fatto molto riflettere.
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Ripartiamo lasciandoci alle spalle gli edifici a quanto pare non abbandonati per rientrare nel deserto. Il paesaggio, molto affascinante, cambia poco nei chilometri successivi: l’unica cosa a variare infatti è la luce che illumina il tutto, dato che il giorno avanza e il sole si abbassa sempre più. La strada prosegue dritta davanti a noi, e la luce sempre più bassa crea delle illusioni affascinanti: l’asfalto diventa dello stesso colore del cielo, e, se non ci fosse l’orizzonte, sarebbe impossibile capire dove inizia l’uno e dove finisce l’altro. Continuiamo a viaggiare fino al tramonto, quando effettuiamo una piccola deviazione per scendere sulla spiaggia, dove ci accampiamo. Poco dopo arriva una guardia incaricata di sorvegliare la costa, dicendoci che non possiamo rimanere lì per la notte. Cerchiamo di convincerlo, ma sembra irremovibile. Ci ricordiamo però di essere italiani e della fama della nostra cucina in tutto il mondo: proviamo così ad offrirgli un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino, ed ecco ottenuto senza troppi sforzi il permesso di rimanere lì per la notte.
Ora, per concludere il racconto di questa giornata, vi dobbiamo chiedere un piccolo sforzo di immaginazione, quindi chiudete gli occhi e lasciatevi guidare. Siete su una spiaggia, con il deserto alle vostre spalle e l’Oceano davanti a voi. Nessuna città o villaggio nel giro di decine e centinaia di chilometri. Il vento soffia da ovest e porta con sé il profumo del mare. Ora ascoltate: se tirate bene le orecchie potete sentire l’incessante rumore delle onde che ritmicamente si infrangono sulla spiaggia. Infine aprite gli occhi e rivolgeteli al cielo: comincerete a sorridere, perché qu, questa sera, in questo preciso istante e luogo, la vita è bella, e niente e nessuno potrà convincervi del contrario.
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