
Foto di ©Francesco Sangalli – overland.org
Passiamo due giorni a Conakry per riordinare e pulire i veicoli dopo tanti mesi di utilizzo ininterrotto. Ritroviamo occhiali, cappelli, borse scomparse mesi prima assieme a non poca terra rossa, praticamente onnipresente qui in Africa. Oggi finalmente, dopo aver fatto il pieno filtrando il carburante locale e dopo aver aggiunto il preziosissimo additivo Tunap riusciamo a partire. Anzi no.
Rimaniamo infatti bloccati per ore nel terribile traffico della capitale guineiana. É veramente snervante perché nessuno ha idea di cosa sia o come funzioni un codice stradale. Se si aggiunge poi il perenne odore di plastica bruciata proveniente dai roghi di immondizia a bordo strada si può facilmente capire perché siamo ben felici di lasciarci una volta per tutte Conakry alle spalle. Uno dei problemi che grava sui Paesi africani è senza dubbio la spazzatura. Ovunque, dal grande centro urbano al piccolo villaggio sperduto, le strade sono sommerse di spazzatura, in particolare plastica, e non avendo un sistema di smaltimento, men che meno di riciclaggio, la triste e pericolosa soluzione spesso è quella di appiccare incendi pensando di eliminare il problema. Senza considerare le drammatiche conseguenze delle sostanze cancerogene che inevitabilmente si liberano.
SEGUI LA SPEDIZIONE SUI SOCIAL
Dopo una breve pausa pranzo arriviamo al confine verso le 18.00 locali (le 19.00 italiane), orario in cui solitamente la dogana chiude. Le guardie della Guinea ci fanno passare molto velocemente facendoci anche i complimenti per il progetto di CinemArena (di cui a quanto pare hanno sentito parlare) che Overland sta appoggiando. Pochi metri dopo però, appena entrati in Sierra Leone, non troviamo la stessa giovialità: i doganieri sono molto infastiditi dal nostro tardo orario di arrivo, ben oltre l’orario di chiusura, ma con qualche sorriso (e qualche maglietta regalata) riusciamo subito a farceli amici, tanto che in poche decine di minuti siamo finalmente in un nuovo Stato. Prima di andarcene chiediamo ad un poliziotto quanto manca a Freetown, capitale della Sierra Leone e nostra destinazione, oltre a cercare informazioni sulla qualità delle strade (che in Guinea si è dimostrata fino ad ora veramente pessima). Con fierezza ci dice che le strade della sua nazione sono davvero ottime, e non possiamo che dargliene atto già pochi metri dopo: strade ben costruite, senza buchi e per di più pulite, una vera rarità in questo viaggio. Con nostra grandissima sorpresa ci imbattiamo anche in un casello autostradale: non ne vedevamo uno dal nostro passaggio in Spagna a settembre.
Un’altra differenza che subito possiamo notare dalla Guinea è la lingua: qui in Sierra Leone, come in Liberia, nostra futura destinazione, si parla inglese. A differenza delle nazioni incontrate fino ad ora infatti questa regione fu colonizzata dagli inglesi, e nel diciannovesimo secolo molti ex schiavi liberati negli Stati Uniti d’America decisero di tornare in Africa e insediarsi proprio in questa zona. Dopo molta strada arriviamo finalmente all’hotel nei pressi di Freetown a mezzanotte inoltrata. Lo abbiamo chiamato hotel, ma si tratta in realtà di poche capanne in riva all’Oceano Atlantico senza elettricità o fognatura (c’è però l’acqua corrente per farsi la doccia). Molto pittoresco ad esempio il vaso di segatura da cui attingere con una grossa conchiglia quando si ha finito di utilizzare la toilette. Data poi la totale assenza di corrente ci vengono anche consegnate delle lampade ricaricabili tramite energia solare da utilizzare nei giorni in cui pernotteremo in questo vero paradiso fuori dal mondo.
{loadposition BlogGallery-ov20d22}
Nei prossimi giorni ci dedicheremo alla visita dei territori circostanti, ma ora non riusciamo a pensare ad altro di quanto siamo fortunati a poterci addormentare in riva all’Oceano col rilassante rumore delle onde che si infrangono ritmicamente sul litorale dopo un’ottima, e abbondante, cena a base di riso e pesce senza le distrazioni dell’era moderna, godendoci tutto ciò che di meglio madre natura ha da offrire in queste terre.