Km: 200;
media oraria: 27,6 km/h
Dislivello in salita: 1460 m
Tempo di percorrenza: ore 7
La prima curva, peraltro appena accennata, la troviamo dopo 42 chilometri. La seconda, che ci fa deviare in direzione est sud est, dopo altri sessanta chilometri,Il resto non è che un unico rettilineo senza fine tra sassaie che si perdono all’orizzonte, senza un’oasi, senza neppure una stazione di servizio. Il nulla assoluto.Il caldo non è torrido, ma sono le violente folate di vento, prima laterale poi frontale, che rendono il pedalare un faticoso gioco d’equilibrio. Procediamo quindi divisi in gruppetti sotto la protezione delle tre “chiocce” che ci coprono lateralmente. Quando qualcuno vuole aumentare il passo si aggancia ai camion di passaggio che ci superano ad una velocità superiore ai 30 chilometri sulla quale sono regolarizzati i pulmini. Effettuiamo la sosta per il pranzo sistemando i mezzi a quadrato, come le antiche carovane di pionieri e poi affrontiamo i cento chilometri di salita finale, tanto per cambiare un rettilineo che prende regolarmente quota tra creste formazioni rocciose e con qualche serpentina porta ai quasi 1900 metri di un altopiano battuto dal vento. La meta non è un villaggio, ma un tipico insediamento di passo con tanto di casello di pedaggio, la solita sfilata di squallidi ristorantini, qualche gommista, la stazione di polizia. Poco più avanti la nuova strada è tagliata come con un coltello in una barriera rocciosa che un tempo segnava il passo protetto da una serie di fortificazioni oggi ridotte a ruderi. In mancanza di alberghi pernottiamo in un dormitorio per camionisti privo di acqua e di servizi e ceniamo con la nostra pastasciutta. Poche decine di metri più avanti inizia la discesa verso la Cina vera e propria. Lasciamo infatti la regione autonoma dello Xinjiang Uygur ed entriamo nella provincia del Gansu.