Km: 216;
media oraria: 30,3 km/h
Dislivello in salita: m 420
Tempo di percorrenza: ore 7,10
Un’alba livida e grigia fa da sfondo alla nostra partenza da Aksu ai piedi della catena del Tien Shan che scorre con la sua sfilata di cime innevate culminanti nel 7.400 metri del Pik Pobedy. E’ proprio all’acqua di fusione dei loro ghiacciai che scende impetuosa fino alle soglie del deserto che si deve la presenza della grande oasi di Aksu e dei villaggi che le fanno corona E’ il mondo agricolo degli Uyguri ben diverso da quello della città cinese in cui abbiamo pernottato e che ha il suo cuore nei bazar affacciati anch’essi sulla strada. Ci fermiamo come sempre in uno di loro per acquistare dal fornaio il pane che qui viene cotto al forno con cipolle e verdure. Un sapore forte e gradevole che ci ricorda quello di certe focacce genovesi. Dopo l’ultimo filare di pioppi, il deserto prende il sopravvento e la carozzabile, sempre dal fondo perfetto, (ai caselli bisogna pagare il pedaggio come se fosse un’autostrada) si dipana in interminabili rettilinei immersi nel nulla. Il clima inaspettatamente fresco (non più di 36 gradi), il vento per una volta tanto a favore e le periodiche gocce di pioggia stimolano la competitività così che il gruppo si lancia spesso in volate alla conquista di improvvisati traguardi volanti. Il più ambito è, come sempre, quello contraddistinto dal tavolo della colazione a base di pane, bresaola (si, c’è ne è ancora), salame, noci, frutta (banane, mele, pesche e anguria). Dopo quasi duecento chilometri di pedalata giungiamo in un’altra oasi composta da una serie ininterrotta di villaggi e di filari di pioppi. Il nostro è quello di Xinhe dove si trova un albergo di buon livello dotato perfino di aria condizionata.