paradosso della giustizia in usa Non è solo la giustizia italiana a portare a dei paradossi: negli USA si è verificato un caso che ha suscitato scalpore. Tre ragazzi condannati per un terribile omicidio di cui sono stati vittime tre bambini sono finiti in carcere. Accadeva 18 anni fa: per 18 anni si sono dichiarati innocenti ma i giudici non gli hanno creduto. Ora, ormai uomini, hanno ammesso la loro colpevolezza e per questo sono uomini liberi. Come è possibile? Per capirlo facciamo un salto indietro:

era il 1993 quando in un canale di scolo di Robin Hood Hill, nei pressi di West Memphis in Arkansas, vennero ritrovati i cadaveri nudi e martoriati di tre bambini scout di soli otto anni. La polizia pensò subito ad un rito satanico e si arrivò seguendo questa pista a Jessie Misskelley (17 anni), che confessò individuando come complici Demien Echols e Jason Baldwin allora suoi coetanei. Il reo confesso ritrattò ma la giuria non si lasciò convincere e condannò lui e Baldwin all’ergastolo e il terzo complice alla pena di morte. La vicenda ebbe molta risonanza e divise l’opinione pubblica americana. Fu fondato anche un movimento di innocentisti chiamato “I tre di West Memphis”, al quale si sono iscritti anche star di Hollywood del calibro di Winona Ryder, i Metallica, Johnny Depp etc. Ma la cosa più convincente è che anche i genitori di due delle vittime appoggiarono la teoria innocentista. Nel 2007 arriva la svolta con il test del dna che scagiona i tre. Nel 2010 la Corte Suprema dell’Arkansas ha invitato i tre condannati a presentare nuove prove della loro innocenza, fissando un’udienza per il mese di dicembre. La pubblica accusa ha proposto la formula dell’ «Alford plea»: un iter in cui l’imputato, pur dichiarando la propria innocenza, riconosce che l’accusa ha prove convincenti contro di lui e quindi si dichiara colpevole. Grazie a questo sistema i tre condannati, dopo 18 anni, sono liberi.