pomQuello delle emissioni è un problema serio, ormai tanto discusso ma mai realmente affrontato; ad esso fa il paio un’altra questione cruciale, il consumo di carne rossa. Tralasciando quelle che sono le diatribe tra vegetariani, vegani e onnivori, quello della carne è un problema che non riguarda solo discorsi di salute e di etica.

Si va ben oltre, arrivando alle emissioni di gas serra e all’approvvigionamento di cibo per l’intera umanità. La carne rosse provoca emissioni molto elevate, perché la sua enorme produzione obbliga la trasformazione di terreni agricoli in pascoli e il disboscamento di alcune aree per creare nuovi spazi da dedicare agli allevamenti. Per non parlare poi delle sostanze chimiche che vengono iniettate negli animali per far aumentare la massa e quindi la produttività. Uno studio dell’Università di Cambridge e Aberdeen ha messo in evidenza come, limitando (quindi non per forza eliminando) il consumo di carne rossa a due porzioni a settimana pro capite, si andrebbero a ridurre dell’80% le emissioni globali di gas serra. Uno sforzo per i carnivori votato ad un bene maggiore, quello della salute umana, animale e ambientale. Consumare meno carne corrisponderebbe ad un aumento della qualità e ci porterebbe a apprezzarla anche di più; basta pensare che i nostri nonni ne mangiavano in quantità estremamente ridotte (una volta a settimana quando andava bene) e per questo motivo, solo 60-70 anni fa, era considerato un alimento di lusso. Oggi la troviamo in tutte le salsa nei supermercati, in quantità esagerata se pensiamo che il nostro fabbisogno settimanale equivale a circa 500 gr.