“Nella storia del fashion l’orientalismo conta molto: l’occidente ne è stato influenzato sin dal tempo dei romani. Ma ora dobbiamo riscoprirlo come un nostro stile” dice lo stilista turco Cemil Impekci. E’ vero: l’orientalismo è la versione occidentale dell’oriente. E’ l’oriente della fantasia, dei sogni. Ma che a Istanbul sempre più spesso sembra concretizzarsi come una riflessione, un modo di rivendicare la propria grandezza. Istanbul, insomma, non vuole più essere quella descritta da Cocteau come “una vecchia prima donna, coperta di gioielli e glorie”, bensì come una bash kadin , una prima donna, una sultana. E così, annotando le immagini, le scene, le suggestioni artistiche, letterarie, culturali, storiche che si susseguono in questa città, Istanbul si compone come quei disegni hurufi che combinano le lettere per rappresentare volti umani o animali sacri.

Sull’onda di queste fascinazioni, indotte da una Istanbul incantatrice, c’è il rischio di interpretare l’orientalismo contemporaneo in forma new age. E per cedere a questa ipotesi basta visitare il museo delle arti turche e islamiche: quarantamila pezzi che testimoniano lo splendore di una cultura d’estrema raffinatezza e profondità, come il sublime Corano opera del persiano Abdulkadir bin Abdulvabab el-Huseyni. Cercando altre prove di questo intreccio mistico-storico-culturale, incontriamo Hikmet Barutcugil, pittore di carte marmorizzate. “E’ un’ antica arte turca che arriva dalla Cina” spiega, mentre scioglie i colori nell’acqua formando arabeschi emulsionati, una texture che fissa sulla carta quando sente che è quella giusta. “L’arte tradizionale mette l’artista in condizione di essere più vicino ad Allah”. Hikmet personifica così lo spirito di un Islam troppo spesso offuscato dall’integralismo, quello degli udaba , gli uomini colti. Come lo è Sisko Osman, venditore di tappeti nel Gran Bazar. Inappuntabile, sorseggiando un té alla menta, presenta i suoi pezzi con la cultura del critico, indica le differenze di colori, le sfumature nella trama, i dettagli nel disegni dei kilim .

A Istanbul la new age dell’orientalismo si esprime anche nel rito dell’hamam, il bagno turco. “E’ la migliore terapia antistress” spiega Mustafa Bayrak, il proprietario di uno dei più belli, probabilmente il più antico in attività, il Cemberlitas . Per apprezzarla come merita l’esperienza dell’hamam deve seguire tutti i passaggi previsti, in tempi e modi orientali: dal sogukluk , il tepidario, dove assuefarsi al vapore rinfrescandosi a fontanelle di marmo, alla gobek pagi , il grande calidario, dove la temperatura può raggiungere i 55 gradi. E intanto ci si affida alle cure di un massaggiatore che striglia, sciacqua, insapona, risciacqua ancora e asciuga. Quindi ci si ritira in un camerino a riposare e ci si rilassa in chiacchiere bevendo té o succhi di frutta nel vestibolo. In questo modo l’hamam si rivela soprattutto una delle forme in cui più si manifesta quel gusto della vita che nella cultura ottomana ha trovato la sua esaltazione. La stessa che si ritrova in un altro rito, quello del narghilè , anch’esso da compiere con calma. «E’ un momento d’incontro con gli amici. Oppure un tempo che concediamo ai nostri pensieri, lasciandoli scorrere come il fumo che passa nel tubo del narghilé dopo essersi raffreddato nell’acqua» dice Selim Evedik, proprietario del nargileci Evedikler , una corte circondata da botteghe di tappeti e ombreggiata da un albero, vicino al gran bazar. Questo senso tanto maschile del piacere della vita trova compiuta soddisfazione in uno spettacolo che affonda le sua radici nel chiuso dell’harem: la danza del ventre. “La tradizione arriva dal XIV, XV secolo. Il sultano aveva cento donne. Il sultano questa sera voleva un entertainment e allora le donne ballavano per lui”. Così spiega, in modo pittoresco ma adeguato al personaggio, Goksel Gurbuz, manager della Orient House , il miglior locale del genere. Che tiene a sottolineare l’originalità turca di quest’arte.

Ricostruire, ristrutturare, mantenere la popolazione e la vita locale, proporre botteghe artigiane” dice Sinan Bolek, direttore dell’ufficio per la pianificazione di Istanbul. Di cui cominciano a vedersi i segni. Come le botteghe antiquarie del quartiere di Çukurcuma; la Sogukcesne Sokagi, a lato della porta d’ingresso a Topkapi, deliziosa strada d’acciottolato con lampioni liberty fiancheggiata da konak , le case tradizionali ottomane, in legno dai colori acqua chiarissimi. Espressione perfetta di questo rinnovato fasto di Istanbul è la superba mise en scène con cui viene mantenuto il Dolmabahce, il più vasto palazzo ottomano del Bosforo, stupefacente mix di classico ed esotico, un sahil saray , un palazzo d’acque che potrebbe essere definito un sogno carico di eccessi”.

DA VEDERE : Secondo la leggenda la città venne fondata da Byzas di Megara, sbarcato sulla sponda meridionale del Corno d’Oro nel 637 a.C. La maggior parte dei tesori artistici è concentrata in quell’area e sulle rive del Bosforo.

Ayasofya (Santa Sofia). Costruita tra il 532 e il 537 sotto il regno di Giustiniano, questa basilica divenne il simbolo dell’età d’oro dell’Impero Bizantino. Nel 1453, con la conquista ottomana, il sultano Maometto II la convertì immediatamente in moschea. Nel 1934 è stata trasformata in museo.

Sultan Ahmet Camii (la Moschea Blu). Costruita da Ahmed I tra il 1603 e il 1616, è l’ultima delle grandi moschee imperiali prima del declino del potere dei sultani e, con esso, dell’architettura ottomana. E’ celebre per i sei slanciati minareti.

Yerebatan Sarai (la cisterna della Basilica). Di fronte a Santa Sofia, una delle opere più grandiose dell’epoca giustiniana, realizzata come riserva idrica della città, dalla capienza di 80.000 metri cubi. L’immensa volta è sostenuta da 336 colonne.

Topkapi Saray (il palazzo di Topkapi). Il centro del potere ottomano e il più bell’esempio della sua architettura civile. Costruito tra il 1453 e il 1478 da Maometto. Il palazzo, di quasi 700.000 metri quadrati, è oggi il più grande e importante museo di Turchia.

Arkeoloji Muzesi (Museo Archeologico). Nelle sezioni d’arte classica e dell’antico oriente sono esposte opere egizie, assire, sumere e babilonesi, oltre una notevole collezione di capolavori della civiltà anatolica.

Turk ve Islam Eserleci Muzesi (Museo di arte turca e islamica). Vicino alla Moschea Blu, è ricavato in un palazzo del 1524, dimora del Gran Visir di Solimano il Magnifico. Ospita una superba collezione di antichi tappeti e kilim, miniature, libri, calligrafie, cristalli e pregevoli pezzi in legno.

Suleymaniye Camii (la Moschea di Solimano). Edificata tra il 1550 e il 1557, è il capolavoro di Sinan, geniale architetto al servizio di Solimano. Con le numerose strutture annesse forma un maestoso complesso dominato dalla grande cupola, alta 53 metri e del diametro di 25.5, che sovrasta una sala di preghiera di 70 per 60.

Galata Kulesi (la Torre di Galata). Uno dei più noti simboli turistici di Istanbul: un’enorme costruzione eretta a 35 metri sul livello del mare, il cui tetto culmina a 68 metri d’altezza. In cima alla torre si trova oggi un ristorante night-club e una piattaforma panoramica.

Dolmabahce Saray (Palazzo Dolmabahce). In riva al Bosforo, lungo 600 metri, in marmo bianco dell’isola di Marmara, fu fatto costruire nel 1853 dal sultano Abdulmecid e divenne la nuova residenzza imperiale dopo Topkapi. Tutti gli interni sono sontuosamente arredati da preziosi tappeti, mobili, cristalli.

Gran bazar Il cuore di Istanbul, il Capali Çarsi, ossia il Gran Bazar, si può davvero definire come lo shopping centre più grande del mondo: cinquemila negozi, caffé, ristoranti, cambiavalute, moschee, botteghe, laboratori d’artigianato, sale d’aste, hamam